
E’ responsabile l’amministratore per scelte imprenditoriali dannose per la società?
- On 30 maggio 2023
Il quadro normativo
Il nostro ordinamento, in tema di responsabilità degli organi gestori, non fornisce un elenco dettagliato dei doveri a cui gli amministratori devono conformarsi al fine di evitare l’attribuzione di una responsabilità per danni cagionati alla società.
In tema di s.p.a., l’art. 2392 cod. civ. si limita infatti a stabilire che l’amministratore risponde dei danni cagionati alla società qualora non abbia adempiuto con “la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico” ai “doveri ad esso imposti dalla legge e dallo statuto”. Disciplina analoga è dettata anche per le s.r.l. dall’art. 2476 cod. civ.: l’unica differenza rispetto alle s.p.a. consiste nel fatto che nella disciplina prevista per le s.r.l. manca il riferimento alla “diligenza” quale canone per misurare il rispetto di quei doveri alla cui inosservanza è connessa l’attribuzione della responsabilità.
Scelte imprenditoriali “sbagliate” e responsabilità dell’amministratore
La difficoltà di individuare in capo agli amministratori un catalogo di compiti la cui inoservanza dà luogo a responsabilità ha dato luogo a numerosi interrogativi.
Ci si è chiesti, ad esempio, se sia possibile ascrivere all’amministratore una responsabilità per aver causato un danno in conseguenza di scelte gestionali sbagliate, posto che il codice civile non fornisce alcuna indicazione in tal senso.
La risposta a questa domanda è negativa, salvo alcune eccezioni.
Infatti, le scelte imprenditoriali, seppur rivelatesi sbagliate e magari anche dannose per la società, in linea generale non possono essere sindacate dall’autorità giudiziaria, con la conseguenza che non comportano per l’amministratore l’attribuzione d’una responsabilità risarcibile. L’insindacabilità delle scelte imprenditoriali e gestorie è un principio ormai consolidato nel nostro ordinamento, seppur non codificato dall’ordinamento, ed è conosciuto anche con la locuzione anglosassone di “business judgement rule”.
Tale principio, affermato dalla giurisprudenza sulla scorta dell’esperienza di ordinamenti anglosassoni, conosce dei limiti che sono stati puntualizzati dalle corti nazionali. In particolare, la più recente giurisprudenza di merito (ad es: Trib. Torino, 26 ottobre 2020) ha affermato che la business judgement rule opera esclusivamente quando le decisioni operative sono assunte secondo i principi di corretta gestione societaria e, quindi, quando gli atti di gestione:
(i) sono conformi alla legge e allo statuto sociale,
(ii) non sono contaminati da situazioni di conflitto di interesse dei gestori,
(iii) sono assunti all’esito di un procedimento di assunzione di informazioni propedeutiche alla decisione gestoria adeguato all’incidenza sul patrimonio dell’impresa e
(iv) sono razionalmente coerenti con le informazioni e le aspettative di risultato emerse dalprocedimento istruttorio.
La giurisprudenza ha poi fissato dei parametri al ricorso dei quali è possibile sindacare le decisioni operative dell’amministratore chiamato a rispondere dei danni cagionati alla società.
Come è stato sottolineato da altra giurisprudenza, il principio di insindacabilità delle scelte gestorie non è però assoluto, incontrando un limite nella valutazione di ragionevolezza a cui deve essere sottoposta la decisione al vaglio dell’autorità giuridiziaria. Tale valutazione va effettuata ex ante tenendo conto delle cautele, delle verifiche e delle informazioni preventive normalmente richieste per una scelta di quel tipo e della diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere (cfr. Trib. Torino, 20 novembre 2018; nello stesso senso, Trib. Milano, 28 giugno 2021).
Casistica giurisprudenziale
La casistica in materia è davvero variegata. E’ pertanto difficile fornire un inquadramento dotato di un minimo di sistematicità.
Ci si limiterà a citare i casi giurisprudenziali più recenti e di maggiore interesse.
Nell’ambito dei Gruppi societari, è frequente assistere ad amministratori che effettuano operazioni infragruppo a vantaggio di una delle società del Gruppo. Il caso più tipico è il pagamento da parte di una società controllante dei debiti della società controllata. In questo caso, si pone evidentemente il problema di come giustificare la condotta dell’organo amministrativo della società che ha assunto l’obbligo di pagamento senza averne titolo. Al fine di contemperare le esigenze delle diverse società del Gruppo, la dottrina ha elaborato una teoria, denominata “teoria dei vantaggi compensativi”, che ha trovato anche un’applicazione giurisprudenziale. In sostanza, secondo tale teoria, il danno sofferto dalle società appartenenti ad un medesimo Gruppo che sia stato determinato dall’operazione deliberata dai suoi organi gestori è assorbito dal contemporaneo vantaggio di cui è risultata beneficiaria l’altra società del Gruppo.
Ai fini della valutazione del danno, pertanto, si prescinde dal compimento della singola operazione, valutando la complessiva situazione economica del gruppo in maniera unitaria ed i vantaggi di medio e lungo periodo che possono conseguire alla singola società apparentemente danneggiata. Non sempre, però, la teoria dei vantaggi compensativi porta all’esonero della responsabilità dell’amministratore.
Al riguardo, la giurisprudenza ha affermato che a fronte di comportamenti dell’amministratore che ledono il patrimonio dell’ente a vantaggio di altre società del gruppo, e perciò appaiono contrari al suo obbligo di perseguire una corretta gestione societaria, gli eventuali benefici compensativi non possono ritenersi sussistenti solo perché la società fa parte di un gruppo, dovendo l’amministratore “farsi carico di allegare e provare gli ipotizzati benefici indiretti, connessi al vantaggio complessivo del gruppo e la loro idoneità a compensare efficacemente gli effetti immediatamente negativi dell’operazione compiuta” (Trib. Torino, 20 novembre 2018).
E’ invece responsabile l’amministratore “che autorizzi o imponga alla società parte di un gruppo il pagamento di somme per servizi non resi in favore di una controllante indiretta: si tratta di comportamento in violazione dei più elementari doveri di diligenza verso la società amministrata”. In un diverso caso, il Tribunale di Milano, con sentenza del 19 novembre 2018, ha affermato che non può essere dichiarata la responsabilità degli amministratori per scelte discrezionali assunte allorquando i gestori si siano affidati a figure professionali per ponderare le proprie attività. I Giudici hanno negato che si potesse muovere un rimprovero agli amministratori, non avendo agito in maniera scriteriata o in assenza dei dovuti approfondimenti, confidando legittimamente e non ingiustificatamente nella competenza delle singole figure professionali cui si erano affidati in vista del compimento della scelta gestionale.
Il Tribunale di Bologna, nella sentenza 2 ottobre 2020, ha invece ritenuto responsabili gli amministratori per scelte gestionali che, secondo una valutazione ex ante, si erano dimostrate avventate e imprudenti. Nella fattispecie, la società aveva effettuato ingenti prestiti infruttiferi di aprioristica improbabile restituzione in ragione delle critiche condizioni economiche delle società beneficiarie senza previsione di termini di restituzione e di adeguate garanzie, per contenuto, entità economica e finalità non coincidenti con il primario interesse della società.
Particolarmente significativa appare, infine, una recente pronuncia del 8 aprile 2020 del Tribunale di Roma, la quale si è pronunciata sulla sindacabilità delle scelte strategiche organizzative degli organi gestori. Secondo i Giudici capitolini, “…la funzione organizzativa rientra pur sempre nel più vasto ambito della gestione sociale e che essa deve necessariamente essere esercitata impiegando un insopprimibile margine di libertà, per cui le decisioni relative all’espletamento della stessa vengono incluse tra le decisioni strategiche. In altre parole, la predisposizione di un assetto organizzativo non costituisce l’oggetto di un obbligo a contenuto specifico, ma al contrario, di un obbligo non predeterminato nel suo contenuto, che acquisisce concretezza solo avuto riguardo alla specificità dell’impresa esercitata e del momento in cui quella scelta organizzativa viene posta in essere. E va da sé che tale obbligo organizzativo può essere efficacemente assolto guardando non tanto a rigidi parametri normativi (non essendo enucleabile dal codice un modello di assetto utile per tutte le situazioni), quanto ai principi elaborati dalle scienze aziendalistiche ovvero da associazioni di categoria o dai codici di autodisciplina”.
In conclusione, si può affermare come la sindacabilità giudiziaria delle scelte imprenditoriali dannose per la società sia un tema che presenta elementi di elevata complessità e delicatezza che, come tale, necessita dell’apporto di professionisti qualificati ed esperti (avvocati e commercialisti) i quali, assistendo gli amministratori di società, sono in grado di fornire una assistenza qualificata idonea ad orientare le scelte gestorie per scongiurare le conseguenti responsabilità civili per danni sociali.
Avv. Marco De Nadai
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