Covid-19: mini guida sulle principali questioni contrattuali

Covid-19: mini guida sulle principali questioni contrattuali

L’emergenza sanitaria causata dal diffondersi dell’epidemia da coronavirus (Covid-19), ha portato il nostro Governo e le autorità locali ad emanare dei provvedimenti che stanno profondamente incidendo sull’attività di privati e imprese.

Le principali questioni che stanno emergendo nella pratica riguardano (i) la facoltà delle parti (o di una di queste) dell’inadempimento della propria prestazione contrattuale (ad es. sospendere il pagamento di una rata del canone di locazione, o di rifiutarsi di consegnare la merce ordinata, o in ritardo), (ii) quali sono le condizioni ed i termini dell’inadempimento ed infine (iii) quali sono le criticità e gli eventuali rischi di tali condotte.

Per rispondere a tali interrogativi, senza alcuna pretesa di esaustività, ho pensato di predisporre una breve e sintetica guida sull’impatto del Covid-19 rispetto a più comuni rapporti contrattuali, illustrando i relativi strumenti giuridici offerti dalla legge.

Impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa non imputabile

Prima di entrare nel merito delle singole figure contrattuali, vale la pena precisare come il nostro ordinamento preveda che un contraente non è responsabile per l’inadempimento contrattuale (o per il ritardo nell’esecuzione della prestazione) quando la sua prestazione è divenuta impossibile per un fatto a lui non imputabile (cfr. art. 1256 del codice civile).

Affinché l’impossibilità della prestazione estingua l’obbligazione devono ricorrere tre requisiti:

  1. Oggettività: a titolo esemplificativo, non posso consegnarti quel prodotto in virtù delle misure restrittive contenute nel dpcm 8 marzo 2020 (c.d. factum principis), oppure perché il magazzino in cui era stoccato il prodotto ha subìto danni gravissimi a causa di un’alluvione o di un incendio.

  2. Non imputabilità dell’evento al soggetto: l’impossibilità della prestazione non deve essere stata determinata dal soggetto inadempiente. A titolo esemplificativo, non ricorre questo requisito nell’ipotesi in cui, nell’esempio precedente, l’incendio che ha danneggiato il magazzino è stato determinato da una imprudenza del contraente inadempiente.

  3. Sopravvenienza del fatto rispetto all’assunzione dell’obbligazione: nel caso in cui il debitore non abbia adempiuto la propria obbligazione nei termini contrattualmente stabiliti, egli non può invocare la predetta impossibilità con riferimento ad un ordine o divieto dell’autorità amministrativa sopravvenuto qualora, al momento dell’assunzione dell’obbligazione, tale divieto o ordine dell’autorità fosse ragionevolmente e facilmente prevedibile, secondo la comune diligenza (Cass. civ., III, 8 giugno 2018, 14915). Pertanto, è evidente che se un contratto è stato stipulato in epoca antecedente ai provvedimenti governativi restrittivi delle libertà individuali dovuti al Covid-19 eventuali impossibilità di adempiere le prestazioni contrattuali potrebbero cadere nella previsione dell’art. 1256 del codice civile.

Forza maggiore

Un altro istituto è la c.d. “forza maggiore”.

La legge non fornisce una definizione chiara ed univoca di forza maggiore, tant’è che è frequente che le parti decidano di regolare la fattispecie nei contratti.

Tuttavia occorre richiamare le previsioni contenute rispettivamente negli art. 1463 e 1467 del codice civile in tema di contratti con prestazioni corrispettive; nella prima, è previsto che l’impossibilità della prestazione libera il debitore dall’adempimento. L’art. 1467 prevede inoltre che, nei contratti a esecuzione continuata o periodica o a esecuzione differita, se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto, con gli effetti stabiliti dall’art. 1458 codice civile.

La risoluzione non può essere domandata se la sopravvenuta onerosità rientra nell’alea normale del contratto (cioè se è ed era legittimo aspettarsi, in una logica di “mercato”, che la prestazione divenga più onerosa per una parte nella vigenza contrattuale). La parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto.

La giurisprudenza ha precisato che l’eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, per poter determinare, ai sensi dell’art. 1467 del codice civile, la risoluzione del contratto, richiede la sussistenza di due necessari requisiti: da un lato, un intervenuto squilibrio tra le prestazioni, non previsto al momento della conclusione del contratto; dall’altro, la riconducibilità della eccessiva onerosità sopravvenuta ad eventi straordinari ed imprevedibili, che non rientrano nell’ambito della normale alea contrattuale.

Nei contratti internazionali, infine, sono presenti le c.d. hardship clause (redatte dalla Camera di Commercio Internazionale dal 2003); si tratta – in sostanza – di clausole che, a fronte di eventi sopravvenuti determinanti una eccessiva onerosità (es.: incremento costo delle materie prime, mutamento del quadro regolatorio), riconoscono a ciascuna parte di ottenere una rinegoziazione del contratto e non lo scioglimento (come invece previsto nel nostro ordinamento).

Vediamo ora le singole casistiche contrattuali.

1. Contratti di affitto d’azienda e di locazione di immobili

Mediante tali contratti, una parte concede in affitto o in locazione all’altra parte il godimento di un compendio aziendale o di un immobile a fronte del pagamento di un canone periodico. Tali figure contrattuali rientrano senza dubbio nel novero dei contratti a prestazione continuativa.

Può l’affittuario, per contratti stipulati antecedentemente ai decreti “emergenziali” del Governo, sospendere il pagamento dei canoni?

Per rispondere al quesito, è necessario fare delle distinzioni e valutare caso per caso.

In linea generale, ritengo che il pagamento del canone di affitto o di locazione non possa essere unilateralmente sospeso o ritardato, quantomeno sulla base della normativa vigente.

Per le attività commerciali interessate dalle chiusure disposte dai noti decreti governativi, il conduttore o affittuario potrebbe infatti soltanto chiedere la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta, determinata dall’impossibilità di pagare il canone per quel periodo in cui è stata imposta la chiusura dell’attività commerciale ai sensi dell’art. 1467 codice civile. Resta inteso, in questo caso, che la facoltà di scioglimento, qualora non espressamente prevista nel contratto, dovrà comunque essere accertata dal giudice, il quale sarà tenuto a verificare i presupposti dell’esercizio del diritto.

Un’ultima notazione sulle morosità dei canoni di locazione. Il c.d. Decreto “Cura Italia”, pubblicato il 17 marzo 2020, sospende gli sfratti per canoni di locazione non pagati fino al 30 giugno. Fino a tale data, pertanto, i conduttori, anche in possesso di ordinanza esecutiva di sfratto, non potranno ottenere la riconsegna dei locali né il pagamento dei canoni non pagati. La norma riguarda anche le locazioni non abitative. La sospensione riguarda coloro che non hanno pagato i canoni prima dell’emergenza Covid-19.

2. Contratti di fornitura e distribuzione

Tali tipologie contrattuali hanno un ambito di applicazione variegato; pertanto è difficile fare delle generalizzazioni.

Tuttavia, possono essere svolte le seguenti considerazioni, senza pretesa di esaustività e sempre previa un’analisi attenta del caso concreto.

In estrema sintesi, per quanto riguarda i contratti di fornitura e distribuzione, essi prevedono il seguente schema contrattuale: un soggetto (il fornitore) vende un prodotto ad un altro soggetto a fronte del pagamento di un prezzo, il quale si impegna a distribuirlo in un determinato mercato. Si prenda, ad esempio, il caso in cui il contratto preveda che il fornitore sia tenuto a fornire al distributore un quantitativo minimo di prodotto, in un predeterminato arco temporale, con il contestuale obbligo per il distributore di acquistare detto prodotto alle prefissate condizioni di quantità e prezzo.

E’ indubbio che l’emergenza Covid-19, con i relativi decreti governativi, sta provocando e provocherà, almeno per i settori direttamente interessati dalle restrizioni e chiusure, l’impossibilità oggettiva per il fornitore di rispettare i suddetti obblighi contrattuali.

Come deve quindi comportarsi il fornitore (e l’acquirente-distributore) in tali situazioni?

Correttamente, molti operatori stanno inviando ai propri partner commerciali lettere in cui informano l’altra parte dell’impossibilità ad adempiere ad una o più obblighi previsti nei rispettivi contratti.

Tali lettere dovrebbero contenere i seguenti elementi:

  1. precisi riferimenti al contratto ed alla data di sottoscrizione dello stesso;

  2. indicazione dei riferimenti normativi che hanno causato la situazione di forza maggiore o l’impossibilità di adempiere all’obbligazione;

  3. la durata (presumibile) dell’impedimento, sulla base delle informazioni disponibili alla data della comunicazione.

Per tali tipologie contrattuali – quelle più comuni – non si intravedono particolari criticità nell’applicazione della forza maggiore e/o dell’eccessiva onerosità della prestazione per causa non imputabile.

Qualora il contratto non preveda già clausole di rinegoziazione, potrebbe essere utile contattare il proprio partner commerciale per definire una rimodulazione degli obblighi contrattuali, anche al fine di evitare contestazioni al termine della emergenza ed alla ripresa dell’attività.

3. Contratti di affiliazione commerciale (franchising)

Il franchising, figura contrattuale disciplinata dalla legge 6 maggio 2004, n. 129, prevede una particolare forma di collaborazione tra imprenditori; da una parte il franchisor (comunemente detto Affiliante o Casa Madre) e dall’altra il franchisee (detto anche Affiliato) che attraverso la stipula del contratto di franchising pongono in essere una collaborazione diretta alla commercializzazione di beni e/o servizi con gli stessi elementi distintivi e con le procedure sperimentate dal Franchisor.

Alcuni contratti di franchising (come altre tipologie contrattuali) contengono una clausola di forza maggiore. In questo caso, le parti, nella situazione attuale, potrebbero invocare l’applicazione della forza maggiore, prevista contrattualmente, per giustificare un inadempimento o un ritardo nell’adempimento dei propri obblighi.

Dubbi sono sorti sull’interpretazione di dette clausole. Infatti, non tutti ritengono che sia appropriato applicare la clausola di forza maggiore quando questa non prevede espressamente alcun riferimento ad una “pandemia”, quale quella che stiamo vivendo in questo periodo. In questo caso, la risposta si può trovare soltanto all’esito di una lettura complessiva della clausola e del contratto.

Per quanto riguarda gli aspetti legali ai contratti d’affitto o locazione stipulati dal franchisee, richiamo quanto detto nel paragrafo 1.

4. Contratti bancari

Tra i contratti bancari più frequentemente utilizzati v’è senza dubbio il mutuo.

Su tale forma di finanziamento a privati e imprese si sono concentrati numerosi quesiti di molti clienti, i quali si interrogano su modi e condizioni per la sospensione delle rate in ragione dei recenti provvedimenti.

Va anzitutto precisato che la sospensione delle rate del mutuo era già prevista dal Fondo di Solidarietà istituito con la legge n. 244 del 2007 ed è rivolta alle famiglie e ai soggetti titolari di un mutuo prima casa che si trovano in situazioni di temporanea difficoltà economica per cessazione del rapporto di lavoro o sospensione o riduzione dell’orario di lavoro, per decesso o grave infortunio. Questa riguarda solo il pagamento della quota capitale del mutuo, mentre gli interessi vanno comunque corrisposti.

Con il nuovo Decreto “Cura Italia” è possibile richiedere la sospensione del mutuo per un massimo di due volte e un periodo complessivo di 18 mesi, prorogandone così la scadenza. Il Fondo provvederà al pagamento degli interessi compensativi nella misura pari al 50% degli interessi maturati sul debito residuo durante il periodo di sospensione.

Possono beneficiarne non solo coloro che hanno subito la riduzione dell’orario o la sospensione dal lavoro in seguito all’allarme Coronavirus, ma anche – e per un periodo di 9 mesi – i lavoratori autonomi e i liberi professionisti che autocertifichino di aver registrato “in un trimestre successivo al 21 febbraio 2020 ovvero nel minor lasso di tempo intercorrente tra la data della domanda e la predetta data”, una riduzione del proprio fatturato superiore al 33% rispetto al fatturato dell’ultimo trimestre 2019, in seguito alla chiusura o alla riduzione del lavoro dovuta alle misure adottate dall’autorità competente con il diffondersi del Covid-19.

L’altra novità, oltre all’estensione delle categorie che possono richiedere la sospensione delle rate, è che non sarà necessario presentare il modello Isee (Indicatore della situazione economica equivalente).

In ogni caso, molti istituti di credito stanno promuovendo singole iniziative a supporto della clientela.

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Marco De Nadai

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